
Con la pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale dell’Unione Europea lo scorso 8 maggio, la nuova direttiva EPBD 2024 (Energy Performance of Buildings Directive), nota anche come “direttiva Case Green”, è ufficialmente entrata in vigore, avviando una profonda trasformazione del settore edilizio europeo. La revisione, approvata dopo un lungo iter negoziale tra Commissione, Parlamento e Consiglio UE, rappresenta uno degli strumenti chiave per raggiungere la neutralità climatica entro il 2050, in linea con gli obiettivi del Green Deal.
Il cuore della direttiva è la riduzione progressiva delle emissioni di gas serra generate dagli edifici, responsabili di circa il 36% delle emissioni di CO₂ e del 40% del consumo energetico totale nell’Unione. Per raggiungere questo traguardo, il testo prevede un insieme di obblighi stringenti e strumenti operativi che incidono tanto sulla progettazione dei nuovi edifici quanto sulla riqualificazione di quelli esistenti.
Uno degli elementi più significativi è il concetto di “edificio a zero emissioni”: dal 2030 tutti i nuovi edifici dovranno essere costruiti in modo da non produrre emissioni operative derivanti dall’uso di energia, mentre quelli pubblici dovranno adeguarsi già a partire dal 2028. Ciò significa che gli edifici dovranno avere un altissimo livello di prestazione energetica, utilizzare energia da fonti rinnovabili in loco o da reti rinnovabili, ed essere privi di impianti alimentati da combustibili fossili.
Ma la direttiva non si limita ai nuovi edifici: l’attenzione si concentra soprattutto sul vastissimo patrimonio edilizio esistente, dove è più difficile intervenire ma dove si concentrano i consumi e le dispersioni maggiori. La revisione dell’EPBD introduce per la prima volta obiettivi vincolanti per la riduzione del consumo energetico degli edifici residenziali e non residenziali, promuovendo un percorso graduale ma sistematico di ristrutturazione energetica che dovrà essere pianificato a livello nazionale.
Questa trasformazione rappresenta un cambio di paradigma per l’intero comparto edilizio: la direttiva mira non solo a migliorare le prestazioni energetiche degli immobili, ma anche a innescare una filiera integrata e stabile degli interventi, sostenuta da strumenti finanziari, formazione tecnica e un’adeguata pianificazione pubblica. Il principio guida è quello del “renovation wave”, ovvero un’ondata strutturale di ristrutturazioni che coinvolga attivamente cittadini, imprese, enti pubblici e professionisti tecnici, secondo criteri di equità sociale, sostenibilità ambientale ed efficienza economica.
Le tappe chiave della direttiva EPBD
La nuova direttiva EPBD fissa una serie di scadenze progressive, diversificate per tipologia di edificio e per ambito di intervento, che mirano a orientare in modo vincolante la trasformazione del patrimonio edilizio europeo. Le tempistiche sono concepite per rendere graduale, ma ineludibile, il passaggio verso edifici a elevatissima efficienza energetica e privi di emissioni operative da fonti fossili.
Il primo traguardo temporale riguarda gli edifici pubblici di nuova costruzione: a partire dal 1° gennaio 2028, tutti dovranno essere realizzati come edifici a zero emissioni. Due anni dopo, la stessa regola si estenderà a tutti i nuovi edifici, pubblici e privati. Il concetto di “zero emissioni” non si limita a un basso fabbisogno energetico, ma implica l’uso esclusivo di energia da fonti rinnovabili, la possibilità di produzione in loco o tramite reti rinnovabili e l’assenza di impianti a combustibili fossili, comprese le caldaie a gas.
Sul fronte degli edifici esistenti, il focus è in particolare su quelli con prestazioni energetiche peggiori. Gli edifici non residenziali dovranno affrontare un percorso di riqualificazione secondo un criterio di “graduale eliminazione degli immobili meno efficienti”: entro il 2030 gli Stati membri dovranno garantire la ristrutturazione del 16% degli edifici non residenziali con le peggiori prestazioni, percentuale che salirà al 26% entro il 2033. Per selezionare gli immobili da riqualificare si farà riferimento a un indicatore oggettivo, come la classe energetica o il consumo annuo, sulla base di una definizione omogenea a livello nazionale.
Gli edifici residenziali seguiranno un altro percorso, basato sulla riduzione del consumo medio annuo di energia primaria. Entro il 2030, ciascun Paese dovrà assicurare una riduzione del 16% rispetto ai livelli attuali, con un incremento dell’obiettivo al 20–22% entro il 2035. A differenza degli edifici non residenziali, per il comparto abitativo la direttiva lascia una maggiore flessibilità ai singoli Stati, che potranno definire le modalità di raggiungimento dei target, fermo restando l’obbligo di un cronoprogramma vincolante e triennale.
Un ulteriore elemento importante riguarda la progressiva eliminazione delle caldaie a combustibili fossili, che non potranno più essere incentivate a partire dal 2025. Questo aspetto si inserisce in un quadro più ampio di decarbonizzazione degli impianti termici, con una forte spinta verso le pompe di calore e sistemi ibridi ad alta efficienza, anche in combinazione con fotovoltaico e sistemi di accumulo.
Le tappe previste dalla direttiva non si configurano come semplici obiettivi orientativi, ma come obblighi giuridici che ciascun Paese è chiamato a recepire nel proprio ordinamento entro due anni dalla pubblicazione della direttiva. Per ciascuna scadenza saranno richiesti rapporti periodici e verifiche sui risultati ottenuti, in modo da garantire l’effettiva attuazione degli obiettivi e l’allineamento tra i diversi Stati membri.
Piani nazionali di ristrutturazione: lo strumento operativo che cambia la regola del gioco
Uno degli elementi più innovativi e strategici introdotti dalla nuova direttiva EPBD è rappresentato dai Piani nazionali di ristrutturazione, che assumono un ruolo cardine nell’attuazione concreta degli obiettivi europei. Se le precedenti versioni della direttiva lasciavano ampi margini di discrezionalità agli Stati membri, l’edizione 2024 impone per la prima volta una programmazione obbligatoria, triennale e verificabile degli interventi di riqualificazione del patrimonio edilizio esistente.
I Piani dovranno indicare in modo chiaro come ciascun Paese intenda contribuire al raggiungimento degli obiettivi comunitari, sia per quanto riguarda la riduzione dei consumi energetici negli edifici residenziali e non residenziali, sia per l’eliminazione progressiva delle caldaie a combustibili fossili. A questo scopo, dovranno essere strutturati con una visione di lungo periodo (fino al 2050), ma articolati in traguardi intermedi misurabili ogni tre anni.
Secondo le indicazioni europee, ogni Piano nazionale dovrà contenere almeno cinque elementi fondamentali: una strategia di decarbonizzazione del parco immobiliare nazionale, un calendario dettagliato degli interventi previsti, una mappa dei fabbisogni formativi e tecnici per i professionisti del settore, un elenco dei meccanismi di finanziamento disponibili, e infine una sezione dedicata alla tutela dei soggetti vulnerabili, con misure per contrastare la povertà energetica.
Per rendere questi strumenti pienamente operativi, la Commissione europea ha definito un modello di riferimento armonizzato che gli Stati dovranno seguire, evitando approcci troppo generici o disomogenei. Gli obiettivi di efficientamento dovranno essere commisurati alla situazione nazionale, ma coerenti con il target europeo di decarbonizzazione al 2050. In questa logica, i Piani non potranno essere semplici dichiarazioni d’intenti: saranno soggetti a verifica, con valutazioni periodiche da parte della Commissione stessa, che potrà richiedere modifiche o correzioni in caso di inadempienza.
Accanto alla componente strategica, i Piani dovranno attivare un pacchetto articolato di strumenti di sostegno, indispensabili per sostenere la domanda e accompagnare i cittadini nella realizzazione degli interventi. In particolare, la direttiva invita gli Stati a mettere in campo una combinazione di incentivi economici diretti, come detrazioni fiscali, sovvenzioni, prestiti agevolati, garanzie pubbliche per l’accesso al credito, e misure per facilitare l’accesso agli strumenti finanziari europei già attivi, come il Fondo sociale per il clima, i fondi strutturali e il programma LIFE.
Un aspetto molto rilevante – e di estrema attualità – è la previsione dell’istituzione di sportelli unici per l’efficienza energetica, da attivare a livello locale o regionale, con il compito di fornire assistenza tecnica, consulenza personalizzata, orientamento normativo e supporto amministrativo a cittadini, imprese, progettisti e installatori. Questi sportelli dovrebbero diventare punti di riferimento concreti per la “messa a terra” della direttiva, riducendo le barriere informative e semplificando l’accesso agli incentivi.
Infine, i Piani nazionali dovranno integrare anche una componente informativa e culturale, con campagne di comunicazione e iniziative di formazione per accrescere la consapevolezza pubblica sui benefici degli interventi di riqualificazione energetica. La trasformazione del patrimonio edilizio europeo passa infatti anche dalla costruzione di una nuova cultura tecnica e gestionale, capace di attivare la collaborazione tra istituzioni, professionisti, imprese e cittadini.
Le Linee guida europee: come attuare la trasformazione del patrimonio edilizio
Per accompagnare l’attuazione della nuova direttiva EPBD e supportare gli Stati membri nella definizione dei Piani nazionali di ristrutturazione, la Commissione europea ha pubblicato un documento tecnico di riferimento dal titolo “Delivering the EPBD”, che fornisce linee guida operative per tradurre gli obiettivi normativi in interventi concreti ed efficaci. Questo documento ha un ruolo cruciale: colma il divario tra la dimensione politica della direttiva e la sua applicazione sul campo, offrendo un quadro metodologico e tecnico destinato a progettisti, enti pubblici, operatori della filiera edilizia e stakeholders territoriali.
Al centro di queste linee guida c’è l’approccio integrato alla ristrutturazione. La logica non è più quella dell’intervento puntuale e frammentato, ma quella di una pianificazione articolata e progressiva, costruita su diagnosi tecniche, valutazioni costi-benefici e orizzonti temporali di medio-lungo periodo. In questa prospettiva si inserisce il concetto di passaporto di ristrutturazione (Building Renovation Passport), uno degli strumenti chiave della direttiva. Si tratta di un documento digitale che accompagna l’edificio lungo il suo ciclo di vita, contenendo una roadmap personalizzata degli interventi da realizzare, i dati di performance, le stime di spesa e il monitoraggio dei risultati.
Un’altra raccomandazione centrale è l’adozione del principio del costo ottimale: gli interventi dovranno essere selezionati non solo in funzione dell’efficienza energetica, ma anche della sostenibilità economica per gli utenti finali. Questo implica che le misure proposte nei Piani nazionali dovranno essere calibrate per garantire un bilancio favorevole tra investimenti e risparmi nel tempo, evitando oneri eccessivi per le famiglie, in particolare per quelle in condizioni di vulnerabilità.
Le linee guida pongono inoltre forte enfasi sulla digitalizzazione del settore edilizio, considerata essenziale per incrementare la qualità e la tracciabilità degli interventi. L’utilizzo di strumenti digitali, come piattaforme per la raccolta dati, modelli BIM e sistemi di monitoraggio in tempo reale, è visto come leva fondamentale per migliorare la progettazione, il controllo dei consumi e la gestione integrata degli edifici.
Un capitolo specifico è dedicato alle competenze professionali, con l’invito rivolto agli Stati membri a investire in formazione tecnica, aggiornamento continuo e riconoscimento delle qualifiche. Per raggiungere gli obiettivi della direttiva sarà infatti necessario un significativo ampliamento della forza lavoro qualificata: installatori, progettisti, auditor energetici e tecnici specializzati dovranno acquisire competenze aggiornate in materia di sistemi rinnovabili, impianti a basse emissioni, isolamento avanzato e gestione digitale degli edifici.
Il documento “Delivering the EPBD” sottolinea anche l’importanza dell’autoconsumo e dell’integrazione tra efficienza energetica e fonti rinnovabili. L’obiettivo non è solo ridurre il fabbisogno energetico degli edifici, ma anche promuovere una produzione distribuita, affidabile e sostenibile. L’elettrificazione degli usi finali – in particolare attraverso pompe di calore, fotovoltaico e sistemi di accumulo – è indicata come una traiettoria strategica per la decarbonizzazione, da sostenere con incentivi e semplificazioni autorizzative.
In sintesi, le linee guida europee forniscono un quadro tecnico articolato che orienta l’azione degli Stati membri lungo tre direttrici fondamentali: visione strategica, attuazione tecnica e sostenibilità economico-sociale. Non si tratta di un allegato secondario alla direttiva, ma di un vero e proprio manuale operativo che potrà fare la differenza nella qualità e nell’efficacia dell’intera transizione.
Le implicazioni per installatori e progettisti
La piena attuazione della direttiva EPBD 2024 passa necessariamente per una trasformazione profonda della filiera tecnica che ruota attorno alla progettazione, installazione e gestione degli edifici. Installatori e progettisti sono chiamati a un cambio di paradigma: da meri esecutori di soluzioni a figure centrali nella transizione energetica del patrimonio immobiliare europeo.
In primo luogo, la nuova normativa impone l’adozione di un approccio integrato e prestazionale. I progettisti non potranno più limitarsi a interventi parziali o standardizzati, ma dovranno sviluppare soluzioni personalizzate in funzione dell’edificio, delle sue caratteristiche fisiche, del contesto climatico, delle abitudini di utilizzo e degli obiettivi di lungo termine stabiliti dai passaporti di ristrutturazione. Diventa fondamentale la capacità di lavorare con strumenti avanzati, come simulazioni energetiche, modellazione BIM, diagnosi energetiche dettagliate e tecnologie digitali per il monitoraggio delle prestazioni in esercizio.
Per gli installatori, la direttiva impone una crescente familiarità con impianti tecnologicamente complessi e connessi. L’elettrificazione dei consumi e la progressiva eliminazione delle fonti fossili comportano una rapida diffusione di pompe di calore, impianti fotovoltaici, sistemi di accumulo, domotica e gestione intelligente dei carichi. La messa in servizio e la manutenzione di questi impianti richiede competenze tecniche aggiornate e capacità di interfacciarsi con altri professionisti, enti locali e piattaforme digitali.
A questo si aggiunge l’aspetto normativo e documentale: gli operatori dovranno essere in grado di produrre, leggere e aggiornare i passaporti di ristrutturazione, interfacciarsi con i nuovi sportelli per l’efficienza energetica e contribuire attivamente alla raccolta dati e alle verifiche previste dai Piani nazionali. Ciò richiederà anche la padronanza dei requisiti minimi imposti dai regolamenti nazionali, l’aderenza agli standard di sicurezza e il rispetto delle prescrizioni ambientali.
Le implicazioni si estendono anche alla gestione delle commesse: la direttiva prevede che gli Stati incentivino la realizzazione di interventi combinati, abbandonando la logica dell’intervento singolo (ad esempio la sola sostituzione dell’impianto) a favore di pacchetti integrati che includano isolamento termico, sostituzione infissi, aggiornamento impiantistico e digitalizzazione dei sistemi. Questo comporta una maggiore capacità organizzativa e progettuale, ma offre anche nuove opportunità di lavoro stabile, qualificato e orientato al valore.
Infine, la direttiva apre scenari di crescita anche in ambito formativo e consulenziale. Installatori e progettisti dovranno aggiornare costantemente le proprie competenze attraverso percorsi strutturati, abilitazioni specifiche e moduli dedicati ai nuovi requisiti imposti dalla normativa. In parallelo, potranno ritagliarsi un ruolo sempre più rilevante come consulenti energetici di fiducia per cittadini, imprese ed enti pubblici, contribuendo a tradurre la direttiva in interventi reali, economicamente sostenibili e tecnicamente efficaci.
La direttiva EPBD non si limita quindi a fissare obiettivi e scadenze: ridisegna in modo strutturale il mestiere di chi progetta e realizza gli edifici. Per i professionisti tecnici, è una sfida, ma anche una straordinaria occasione di evoluzione e rilancio.